venerdì 16 novembre 2012

Sei mesi e poi...

Oggi ho alzato lo sguardo, per un momento. Ho alzato la testa e guardando il calendario mi sono accorta che sono passati sei mesi. 

Sei mesi da quando te ne sei andata, sei mesi che io non riesco a crederci. 

Perché in fondo non è possibile, no? Tu ci sei ancora, vero? Non riesco ad abituarmi all'idea che non sia più così. L'altro giorno mamma mi ha detto che era a casa tua e mi è quasi venuto da dire "dalle un bacio per me", ma purtroppo non si può, non più come prima. Certo, posso ancora dire che vengo a trovarti, ma non è lo stesso. Perché mai poi si dirà "andare a trovare una persona" anche se non la si può vedere? Forse perché quella persona resta comunque accanto a noi in qualche modo? Mi piace pensare che tu sia con me lo stesso, ma è tutto così strano, tutto così insolito.

È strano non poter sentire la tua voce che grida entusiasta "la Regina!!" quando senti la mia voce al citofono, sarà strano non parlarti sabato, per il mio compleanno. E sarà Natale, anche senza di te... e passeranno i giorni, i mesi... e tu non ci sarai più. Prima o poi lo dovrò capire.

Mi manchi, mi manchi tanto, ma sono anche arrabbiata con te per essertene andata all'improvviso, senza darmi la possibilità di farti vivere quei momenti che tanto sognavi, di farti passare del tempo con chi per me è importante, di farti sentire serena nel vedere la mia felicità. Però quando mi sento così chiudo gli occhi e spero sempre che tu sia con me. Scorre qualche lacrima, poi smetto, penso che tu non avresti mai voluto vedermi triste perché eri capace di quell'amore che solo le donne e le madri sanno dare.

La tua Regina.

22.05.1933-16.05.2012


mercoledì 15 agosto 2012

Total Free Magazine

Ciao lettori!

Stasera mi sento ispirata quindi colgo l'occasione per invitarvi a far visita al magazine online per cui scrivo. Lo potete trovare SOLO su Facebook e si chiama TOTAL FREE MAGAZINE.

La particolarità di questo progetto è che è realizzato da ragazzi non professionisti con la passione per la scrittura e per l'informazione libera. All'interno del magazine si tratta di svariati argomenti, quindi ce n'è veramente per tutti i gusti.

Se vi incuriosisce questo progetto passate a farci visita su http://www.facebook.com/totalfreemagazine e diteci cosa ne pensate. Potete farci arrivare i vostri messaggi iscrivendovi alla pagina e commentando gli articoli . E non è finita qui: potete entrare in contatto direttamente coi redattori di ogni singolo articolo. 

Vi lascio anche il link al nuovissimo spot che è stato realizzato nel quale potrete scoprire anche qualche volto della redazione ;)


Mi raccomando, visitate la pagina e spargete la voce!!

XuNie


martedì 14 agosto 2012

Lettera aperta a Giancarlo Dotto


Cari follower, come quasi tutti saprete, sono una grande appassionata di sport e quest'estate mi ha molto colpito il caso di Alex Schwazer. Dopo aver letto sul Corriere della Sera un articolo di Giancarlo Dotto a proposito del nostro atleta, mi sono sentita di mandargli una lettera aperta tramite il sito del giornale. Per ora non ho ricevuto risposta, ma ho deciso di tentare altre strade per fargli avere il mio messaggio. Qui di seguito vi propongo la mia lettera. Ciao!

"Gentile Signor Dotto, le scrivo in merito al suo articolo del 9 agosto sulla prima pagina del Corriere dello Sport a proposito del caso di Alex Schwazer.
Non le nascondo che ho provato anch’io un moto di delusione nel momento in cui ho saputo che era proprio lui l’atleta italiano fermato per doping.
Tuttavia, devo ammettere che questo articolo, a differenza di altri suoi pezzi, mi ha lasciato qualche perplessità per la durezza delle parole usate. Lei inizia definendo le lacrime di Alex “pornografia pura”, ma personalmente ritengo l’affermazione davvero pesante.


Io ci credo alle lacrime di Alex. Come lui stesso ha affermato, avrebbe potuto saltare i controlli, negarsi, ma non l’ha fatto. Ha avuto il coraggio di riconoscere il suo errore e noi siamo qui col dito puntato a dargli contro, cosa che non si fa neanche coi peggiori criminali. Forse è vero, questa storia ci ha un po’ delusi, perché è sempre brutto dover assistere al suicidio sportivo di un atleta, ma Alex con le sue azioni ha fatto male soprattutto a se stesso, perdendo lavoro e credibilità.

Ho frequentato un’università molto selettiva e competitiva quindi so cosa voglia dire sentirsi sotto pressione, so cosa si prova quando gli altri si aspettano sempre il risultato migliore, so cosa significa non poter sbagliare mai. So anche che tipo di pensieri si formano in testa quando ci si sente dire “non vali niente” o “non sarai mai nessuno”. Quindi un po’ lo capisco, perché qualche volta durante gli esami ho copiato anch’io. Alex è apparso come un ragazzo confuso e svuotato dalla stanchezza del sentirsi mille occhi puntati addosso. I suoi problemi forse andavano capiti e in seguito risolti perché non è possibile che un ragazzo che ci ha dato tante soddisfazioni e che sembra una persona così semplice e piena di valori, venga messo alla gogna per un errore, grave sì, ma chi non ha commesso mai errori? Tutto sta però nel coraggio di ammetterlo e nella forza di uscirne. E per fare questo, Alex meriterebbe un po’ di appoggio da noi, dal suo pubblico che l’ha acclamato quando vinceva.

Nell’articolo, infine, lei usa testuali parole “anche grazie a te, a quelli come te, il mondo è ogni volta meno sopportabile”. Se posso permettermi, esistono esempi più lampanti di persone che mi fanno vergognare di essere italiana e che rendono il mondo meno sopportabile. Penso a chi stupra, a chi uccide, a coloro che evadono le tasse e che la fanno inspiegabilmente franca. Queste sono le persone che mi fanno vergognare, non un ragazzo di vent’anni che ha rovinato solo se stesso e che ha avuto il coraggio di ammettere davanti a tutti di aver fatto un’idiozia. Questo non lo giustifica, certo, ma preferisco le lacrime sincere di un ragazzo pentito all’ennesima notiziaccia di cronaca irrisolta.

La ringrazio per l’attenzione che vorrà dedicarmi e le porgo cordiali saluti.

Valeria Di Virgilio"

giovedì 12 luglio 2012

"Amico, facciamolo!"

Qualche giorno fa, durante una chiacchierata come un'altra sono finita a parlare di traduzione filmica con Rocco e Achille.
Tutto è nato quando Rocco ha ironizzato sui vari "amico", "fratello" che siamo costretti a sentire ogni giorno nei vari prodotti multimediali che ci arrivano dall'industria cinematografica statunitense.
Per loro ovviamente la conversazione poteva chiudersi lì, con una risata corredata da un "è vero!", ma per me no. Hanno svegliato il can che dorme. E così, cari follower del mio blog, ora vi sorbirete le mie considerazioni in merito alla -scellerata- traduzione filmica alla quale assistiamo quotidianamente.

Al contrario di quanto si possa pensare, quello del dialoghista (o dell'adattatore) non è un lavoro poi così semplice. Come ogni atto di traduzione possiede anch'esso delle regole che vanno rispettate, per creare un prodotto omogeneo e facilmente fruibile.
La prima e fondamentale restrizione che mi viene in mente è quella temporale. Difatti, trattandosi di doppiaggio o sottotitolazione, il dialoghista dovrà necessariamente rispettare i tempi dell'originale. E come questa restrizione ne esistono molte altre... ma non starò qui a indicarvele tutte perché questo post non vuole essere un articolo accademico.

Personalmente, quello che trovo più fastidioso -oltre agli "amico" e ai "fratello" di cui sopra- sono le ripetizioni di pronomi personali e aggettivi possessivi. A chi non è mai capitato di vedere una scena con un incidente catastrofico e la protagonista che gridava "Il mio braccio! Il mio braccio!"? Forse i profani non ci troveranno nulla di strano, ma un esperto del settore noterà subito che il possessivo è pleonastico. Di quale braccio starà mai parlando se non del suo? Provate per un attimo a rifletterci su. Suona più naturale "il mio braccio" oppure "my arm"?
Per quanto riguarda invece i pronomi personali non c'è niente da aggiungere. In italiano non è necessario ripeterli, se non in rari casi, quindi perché farlo? Oltretutto si rischia di perdere secondi preziosi così facendo.
E cosa dire poi dei vari "facciamolo" che capita di sentire in giro? Secondo voi può trattarsi di un calco dall'inglese "let's do it"? Io dico di sì. E last but not least, come non citare "Sono eccitata!!" che traduce "I'm excited!!". Non notate qualcosa di strano nella versione italiana? La versione italiana ha una connotazione sessuale anche abbastanza esplicita che per me è inaccettabile in un telefilm o film, magari col bollino verde.
Altro elemento fastidiosissimo sono gli abbagli. Vi racconto questa scena. Sto guardando MTV, Made. La ragazza vuole diventare una ballerina e poco prima di un'esibizione la sua allenatrice le dice "Break a leg". La traduzione è stata "Rompiti una gamba". Proprio così. Oltre all'assurdità dell'augurare a una ballerina di rompersi una gamba... fare un po' di ricerca no? Break a leg è l'equivalente del nostro "In bocca al lupo". Traduzioni come questa dimostrano la scarsa competenza di chi si trova a fare questo lavoro, lasciando magari a casa persone più qualificate e capaci.

Con questo mio post non voglio attaccare nessuno, voglio solo evidenziare una situazione che mi infastidisce parecchio perché, come molti di voi sapranno, la mia aspirazione per il futuro è lavorare in questo campo. Mi sconcerta vedere che ci sono persone che fanno questo lavoro pur non avendo la minima idea di come si faccia. O che non abbiano mai letto "The golden rules of subtitling". O che non abbiano nessun tipo di esperienza di traduzione.
Infine vorrei aggiungere che questo post è diretto anche a chi mi reputa troppo pignola davanti alla TV. Purtroppo non posso farci nulla perché come ho detto è impossibile che io non noti certe cose. Ed è altrettanto impossibile che non mi diano fastidio.

Provate a chiedere a qualsiasi altro traduttore...

This Is How I See It...

XuNie

domenica 3 giugno 2012

Endless Love

Qualche settimana fa, parlando con un mio collega, ho scoperto che lui e la fidanzata -ormai moglie- stanno insieme da 17 anni. Praticamente hanno condiviso metà della loro vita.  Passato lo shock iniziale, ho cominciato a rifletterci. Cavolo, non sono mica pochi 17 anni... però per chi, come me, vive una storia da molto meno tempo è bello sentirselo dire perché fa capire che non è vero che non esiste più l'amore eterno. 
E a questo proposito, visto il particolare momento della vita che sto attraversando, vorrei ricollegarmi ad altre due storie d'amore molto forti. Quelle dei miei nonni. Senza dubbio in passato era più difficile vivere un rapporto, con tutti i drammi legati al periodo storico, però in qualche modo ci si riusciva. Ed è così che hanno fatto tutti e quattro i miei nonni. Stringendo i denti anche quando tutto sembrava remare al contrario. Hanno superato tante difficoltà e tanto dolore, ma ce l'hanno fatta ed hanno condiviso anni ed anni di vita. Questo è quello che voglio fare anch'io. Costruire una vita di coppia intrecciata con tutti i problemi, le soluzioni, le gioie e i dolori. 
Quando ci si sposa si giura che il matrimonio durerà "finché morte non ci separi", ma io sono convinta che ci sia un errore di fondo in questa dicitura. Per me la morte non separa chi si ama davvero. Insomma, Dio ci ha dato la vita, che è una cosa ben più grande, complessa e meravigliosa della morte... come potrebbe la morte, in un momento, cancellare via tutto quanto? Io non credo sia così. E non ci credo perché i miei nonni, anche nella morte sono rimasti uniti. I miei nonni paterni sono morti a quasi vent'anni di distanza, ma nello stesso mese, con pochi giorni di differenza. Mentre i nonni materni sono stati separati per dieci anni, ma si sono riuniti anche loro a maggio a pochi giorni di distanza. Per stare insieme, per sempre. L'amore vero esiste. E non finisce quando il cuore smette di battere.
Certo, è dura pensare che loro non ci siano più, ma è altrettanto bello sperare di avere la fortuna che hanno avuto loro. Di stare con la persona che amavano e di condividere anche il "dopo"... e vi posso assicurare -perché lo so- che i miei nonni stanno bene, sono insieme, finalmente per sempre.

Xu

sabato 14 aprile 2012

Rivoglio Tutto Com'era.

Stamattina, passeggiando, ho notato una mamma che rientrava a casa con la figlia e tre o quattro compagne di scuola. Questo quadretto ha catturato la mia attenzione perché la mamma aveva tra le mani un bel vassoio pieno di pizze fumanti. In realtà non c'è niente di strano, però questo mi ha fatto pensare a quando venivano a pranzo da me le amiche delle elementari e/o medie. Mia madre e mia nonna non se la cavavano con una pizza al taglio. Sulla tavola c'erano sempre primo, secondo, frutta e se andava bene anche il dolce.
Insomma, tutto questo per una riflessione: quanto sono cambiate le cose in 15 anni? Quanto sono cambiati i bambini?
Mi ricordo che quando ero piccola volevo a tutti i costi la PlayStation, credo che i miei genitori più volte abbiano pensato di darmi una botta in testa per quanto ero assillante. Però, con pazienza, mi fecero capire che non era giusto che io l'avessi solo perché ce l'avevano tutti. E io lo capii.
Per non parlare di quando ho avuto il mio primo cellulare. Era il regalo per l'esame di terza media. Mio padre lo posò sulla mensola sopra al mio letto prima che io mi svegliassi e poi chiamò il mio numero facendo diffondere per la stanza "50 special" dei Lunapop, che mi aveva impostato come suoneria. Mi svegliai così. E lo apprezzai.
A Carnevale volevo vestirmi da Sailor Moon, ma mia madre cuciva dei vestiti apposta per me. Ero troppo piccola per capire quanto fossero belli, ma ora, riguardando le foto, sono contenta che non mi abbia infilato in testa solo una parrucca gialla coi codini perché grazie a lei ho avuto la fortuna di impersonare un'ape regina, un'indiana, la regina di scacchi, persino una medusa e un piatto tipico della mia regione. E non la potrò mai ripagare.
E poi volevo la borsa della Onyx con la bandiera del Regno Unito e il Belstaff. Mia madre mi comprò la borsa. Ma io volevo pure il cappotto. Però lei, che aveva capito tutto, mi fece intuire che lo volevo solo perché nella mia classe delle medie c'era una ragazza che ne aveva due. E così non lo comprai. E capii che mia madre aveva ragione.
A questo punto mi viene da pormi una domanda. Dov'è finito tutto questo? Esistono ancora i bambini che apprezzano quello che viene concesso loro o danno tutto per scontato? A volte non bisogna neanche chiedere in realtà... è ovvio che il regalo per la comunione sarà il cellulare, addirittura l'iPhone. E non è per niente strano vedere ragazzine di 15 anni andare a scuola con una Louis Vuitton, invece che con un Invicta o un Seven.
Se mi chiedessero di fare a cambio direi di no. Voglio la crostata della nonna, voglio i vestiti cuciti a mano, la borsa della Onyx e il Nokia 3210 con la cover con le fragole, voglio un'infanzia che si possa definire tale.

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X

sabato 11 febbraio 2012

Sei bravissima! Scrivi benissimo!


Dear friends,

ormai il blog sta diventando il mio piccolo angolo per gli sfoghi.

Eh già... stavolta mi sfogo su una questione a me tanto cara: la grammatica. Anzi, non solo. Questo post riguarda anche la scrittura.
Come ben saprete, da quasi un mese sono entrata a far parte della redazione di Total Free Magazine su Facebook (like us!) e mi occupo della sezione spettacolo. Scrivere per un giornale mi sta portando a riflettere molto su questioni di scrittura e leggibilità.

Sarà per il tipo di studi che ho fatto, ma quando mi trovo davanti a un testo, io non vedo solo parole. Io vedo una complessa trama fatta di tanti elementi. Solo che scrivere è un po' come fare un maglione: se salti un punto, il maglione viene fuori col buco. E credo che nessuno vorrebbe un maglione col buco, no?
Mi spiego meglio: capita sempre più spesso di vedere in giro per il web articoli di dubbia qualità che vengono giudicati dai più come "ottimi". Ma io mi chiedo dall'alto di cosa queste persone diano questi giudizi. Sei forse un linguista? No. Un letterato? No. Certo, la cosa importante è che gli articoli piacciano, ma io non riesco a farmi piacere un articolo scritto male. Non riesco a leggere un articolo pieno zeppo di paroloni che alla fine non significano niente e frasi di 5-6 righe senza un punto o una virgola. Non riesco a sopportare i congiuntivi alla Fantozzi. E soprattutto se vedo scritto "ad i consumatori" non mi viene da dire "ma dai che brava! scrivi benissimo" ... piuttosto mi viene da dire "torna in terza elementare che lì te le spiegano queste cose". Non riesco a sopportare che queste persone non abbiano nemmeno l'umiltà di rileggere quello che scrivono, prima di consegnare.

Lo so, sono acida e puntigliosa, ma sono fatta così. Ho speso cinque anni della mia vita a studiare come si scrive e come si analizza un testo e non riesco a sopportare che gente incapace di farlo venga lodata per un lavoro obiettivamente scadente.

Non è solo l'argomento che fa l'articolo. Sono anche le abilità di chi lo scrive.

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domenica 5 febbraio 2012

Neolaureata Senza Esperienza


Cari lettori,

stasera non ho nulla di particolare da dirvi. O meglio, quello che vi dirò potrà risultare estremamente banale, ma è l'unica cosa che mi passa per la testa in questo periodo. E quale posto potrebbe essere più azzeccato di questo per sfogarmi?

Vado subito al sodo: sto cercando lavoro. E come ogni persona che cerca lavoro di questi tempi, ho difficoltà a trovarlo. Il problema però non riguarda me. Non sono io a fare la difficile o ad essere schizzinosa. È solo che dopo cinque anni passati a studiare una cosa che mi piace, non vedo il modo di farne uso.

Offerte di lavoro ce ne sono. Se avessi studiato Ingegneria o se sapessi portare i piatti e battere gli scontrini. Sia chiaro che non voglio offendere nessuno. Non avrei nessun problema a fare la commessa, anzi, in questo momento particolarmente stressante lo preferirei, ma non mi sembra il percorso più naturale dopo essermi spaccata la schiena per cinque anni con traduzioni/interpretazioni/revisioni y cosas por el estilo...

La cosa più frustrante in ogni caso è che in quei pochi annunci per traduttori che si trovano in giro, c'è sempre, SEMPRE quella frase che blocca le porte a noi neolaureati: "esperienza minima: 2 anni". Ne ho visti alcuni che ne vogliono addirittura cinque. E a quel punto mi sono chiesta... ma se nessuno è disposto ad assumermi senza esperienza, come faccio io a maturarla? Mi viene da pensare a una commessa... che inizia a lavorare in un negozietto di abbigliamento giovanile e poi magari grazie all'esperienza potrà puntare a trasferirsi in un negozio d'alta moda. Mi viene in mente questo. Ma a quanto pare nell'ambito della traduzione la scala gerarchica non esiste e per entrare si deve già essere in possesso di un'esperienza stratosferica maturata chissà dove.

And that is frustrating.

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lunedì 23 gennaio 2012

Salvate il Soldato Schettino.

Scrivere questo post un po' mi rammarica perché pensavo che noi italiani avessimo imparato qualcosa dai nostri errori, ma sembrerebbe proprio di no.
Accade l'ennesima tragedia ed ecco che su Facebook, Twitter e simili inizia la caccia all'uomo e si vedono scene (o per meglio dire: post e trend) impietose.
Tendiamo sempre più spesso ad atteggiarci a giudici quando giudici proprio non siamo. I processi ormai non si fanno più in tribunale, ma sui social network.
Io penso che a parlare siamo bravi tutti.

Stavolta è toccato a un uomo di nome Francesco Schettino, comandante (fino a una settimana fa) della Costa Concordia. Ma forse queste informazioni sono superflue, visto che tutti sappiamo come stanno le cose.

Sono d'accordo anch'io: un uomo che decide di fare questo lavoro deve essere pronto a tutto e deve tener fede alla parola data. Quindi non deve abbandonare mai la nave. Sono d'accordo. Ma penso anche che certe volte non credi che possa mai capitare a te.
Questa non vuole essere una giustificazione, sia chiaro, ma non posso nemmeno permettermi di puntare il dito contro un uomo che ha ceduto alla paura. Nessuno di noi può sapere cosa abbia provato quell'uomo nel momento in cui la sua nave affondava.
Ed è per quest motivo che nessuno di noi può permettersi di giudicare, soprattutto se i giudizi vengono dati senza avere alcun rispetto per la famiglia e i cari del Comandante. Così come è stato fatto per Sarah Scazzi, per Yara Gambirasio e senza andare neanche tanto lontano, per Roberto Straccia. Queste sono cose private e tali devono restare.

Non siamo noi i giudici supremi, non siamo noi a dover dire se ha sbagliato. Ognuno può avere la sua opinione, questo è certo, ma poi spetta a chi di dovere prendere una decisione. Fino a quel momento, invece di creare fan page di dubbia intelligenza o condividere status accusatori, dovremmo stare zitti in rispetto sia della famiglia di quest'uomo, sia delle vittime della tragedia.

Questa è l'ennesima dimostrazione di come noi italiani affondiamo da soli la nostra barca (e mai metafora fu più azzeccata). In Inghilterra, Francia, Stati Uniti ridono di noi e noi cosa facciamo? Alimentiamo il fatto dando materiale ai giornalisti stranieri per deriderci. Un comportamento davvero maturo. Non vi rendente conto che così facendo non ci rimettono solo i vari Schettino e Misseri, ma anche noi tutti? La nostra immagine è gravemente deteriorata anche grazie a questi infantili comportamenti che spesso adottiamo volendo interpretare un ruolo che non ci spetta. Come del resto fanno anche molti, troppi programmi tv che mettono in scena veri e propri processi senza averne la facoltà.

Non credo che Schettino sia privo di colpe o che sia un santo. Dico solo che meriterebbe un trattamento da essere umano. Anche se ha fatto un errore. O due. O cento. E soprattutto dovrebbe essere processato da un giudice, non da alcuni internauti moralisti senza una Laurea in Legge.

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X.

sabato 14 gennaio 2012

Che bello che sai le lingue - Storia della mia vita


Le lingue sono l'unica cosa con cui non ho mai avuto un rapporto conflittuale. Io le amo e loro amano me.
In fin dei conti studio l'inglese da quando avevo solo 3 anni e non mi è mai passato per l'anticamera del cervello di smettere (tranne forse una piccola pausa tra il secondo e il terzo anno di liceo in cui volevo fare la parrucchiera).

All'inizio pensavo di avere una passione, ma poi col tempo ho capito che si tratta di una vera e propria malattia, sono poche le lingue che non mi interessano affatto. E sono tantissime quelle che ho cercato di imparare.
Non lo dico tanto per dire; tra i miei tentativi ci sono danese, tedesco, giapponese, portoghese, islandese e russo. Alla fine però quelle che parlo davvero e di cui mi occupo sono l'inglese, lo spagnolo, il francese e il serbo. (oooooh davvero parli il serbo? e com'è?)

Proprio ieri è successo l'ultima volta l'episodio che da' il titolo a questo articolo. "Che bello però che sai le lingue." mi ha detto la commessa di un negozio di abbigliamento.
Quando ho cominciato l'università lo pensavo anch'io, ma adesso, che ho iniziato a cercare lavoro, mi rendo conto che evidentemente questo non basta. Quando elenco le lingue che conosco, partendo dall'italiano, mi sento dire "va be' quello è scontato" e poi quando finisco aggiungono "e basta?".

SCONTATO?? E BASTA?? Mi scusi mio caro signore dietro la scrivania, ma io non darei l'italiano per scontato, visti i tempi che corrono e poi due lingue a livello ottimo e due a livello buono non mi sembrano cosa da poco, altrimenti questo lavoro potrebbe anche farselo lei.
Comunque per non farsi mancare niente, queste figure mitologiche meglio note come datori di lavoro, non si fermano qui. Ormai sempre più spesso capita che chiedano "va be', oltre alle lingue cosa sai?" OLTRE??
Queste persone purtroppo ignorano quale sia il duro percorso di un traduttore. Non essendo dei tecnici, infatti, i traduttori vengono educati in modo da essere capaci di tradurre testi di qualsiasi genere e riguardanti qualsiasi argomento.
Pertanto, rifacendomi a un articolo che lessi al primo anno di università, mi piace affermare che il traduttore è contemporaneamente un ingegnere, un avvocato, un economista, un giurista, uno scrittore e via dicendo... per dirne un'altra, senza i traduttori, colossi della letteratura straniera come Shakespeare, Goethe, García Lorca, Tolstoj, sarebbero rimasti nei loro confini nazionali. E invece, grazie a delle persone il cui compito è quello di raccontare una cultura in un'altra lingua, ci è stato possibile apprezzare i loro capolavori.

Però evidentemente questo non basta. Si ha poca fiducia nella nostra formazione e nel modo in cui svolgiamo il nostro lavoro. E fa rabbia perché solo noi traduttori sappiamo cosa vogliano dire cinque anni di SSLMIT.
Per questo vi chiedo, per favore, di non dire più il solito "che bello però che sai le lingue", ma piuttosto di trasmettere questo mio pensiero a chi conoscete e alle persone con cui parlate di modo da far crescere la consapevolezza di cosa sia questo mestiere tanto utile quanto bistrattato.

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X.

lunedì 9 gennaio 2012

Un Sogno ce l'Abbiamo Tutti

Ognuno di noi ha i propri sogni, no?

Io da piccola volevo fare la cantante o la maestra.

Invece Nelly è brava a scuola e sogna di poter comprare degli animali. E ha un nuovo paio di scarpe.

Guille è una piccola peste, ma adora Ben 10 e vuole poter stare sempre con gli amichetti.

Konakala Jhansy ha dei gran bei vestiti colorati e nella vita sogna di diventare maestra di matematica.

Anthony invece ancora non sa cosa farà da grande, ma per ora si fa coccolare dalla nonna.

E poi c'è Cami, la mia piccola. Cami vuole venire in Italia, ma è troppo lontano, allora disegna. Se la disegna da sola quell'Italia troppo lontana, sperando che un giorno il sogno diventi realtà, come nelle favole con le quali si addormenta la sera.

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